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NATALE AL FRONTE
Era il 1917, uno dei terribili anni della prima guerra mondiale. Sulle trincee spirava un vento gelido e c'era tanta neve. I soldati si muovevano cauti, la notte era senza luna, ma serena e tutti avevano paura di incontrare delle pattuglie nemiche, perché il nemico era lì davanti a loro.
Ad un tratto un caporale disse sotto voce: «È nato!».
«Eh?» fece un altro senza afferrare l'allusione. «Deve essere la mezzanotte passata perbacco. La notte di Natale! Al mio paese mia moglie e mia madre saranno già in chiesa».
Un altro compagno osservò: «Guardate là, c'è una grotta. Andiamo dentro un momento, saremo riparati dal vento».
Entrarono nella grotta e il più giovane del gruppo si tolse l'elmetto, si sfilò il passamontagna e si inginocchiò in un cantuccio. Il caporale rimase all'entrata e voltò le spalle all'interno con fare superiore: ma era perché aveva gli occhi pieni di lacrime.
Il più vecchio del gruppo si tolse i guantoni, raccolse un po' di terra umida e manipolandola qualche minuto le diede la forma approssimativa di un bambinello da presepio. Poi stese il fazzoletto nell'elmetto del compagno e vi depose il Gesù bambino. Si scorgeva appena nella fioca luce delle stelle riflessa dalla neve.
Il caporale trascurando ogni prudenza tolse di tasca un mozzicone di candela, l'accese e la pose vicino all'insolita culla. Poi sottovoce uno cominciò a recitare: "Padre nostro che sei nei cieli...". Tutti continuarono e avevano il cuore grosso da far male.
Il raccoglimento durò ancora dopo la preghiera. Nessuno voleva spezzare l'atmosfera che si era creata.
Improvvisamente alle loro spalle una voce disse.«Fröhliche Weihnachten» (Buon Natale).
Una pattuglia austriaca li aveva colti alla sprovvista. Con le armi puntate stavano all'imboccatura della grotta. Mentre i soldati scattavano in piedi la voce ripeté con dolcezza: «Buon Natale ».
I nemici abbassarono le armi e guardarono la povera culla. Erano tre giovani e avevano bisogno anche loro di un po' di presepio, anche se povero. Si guardarono confusi, poi si segnarono e cominciarono a cantare «Stille Nacht», la bella melodia natalizia che tutti conoscevano.
Tutti si unirono al coro anche se si cantava in lingue diverse. Poi quando si spense l'ultima nota del canto il caporale si avvicinò a uno dei giovani nemici e gli tese la mano che l'altro strinse con calore. Tutti fecero altrettanto, augurandosi il Buon Natale. Poi uno degli austriaci trasse da dentro il pastrano una piccola scarpina da neonato. Doveva essere quella del suo bambino e se la teneva sul cuore, e dopo averla baciata la depose accanto al Bambino Gesù rimanendo per alcuni attimi in preghiera.
Poi si voltò di scatto e seguito dai compagni si allontanò voltando le spalle, senza timore, e scomparve nella notte di quel gelido Natale di guerra.
Nota: l'autore del testo non è indicato
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Last Edit: 11 years 4 months ago by papone.
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Già nella settimana precedente il Natale, membri delle truppe tedesche e britanniche schierate sui lati opposti del fronte presero a scambiarsi auguri e canzoni dalle rispettive trincee, e occasionalmente singoli individui attraversarono le linee per portare doni ai soldati schierati dall'altro lato; nel corso della vigilia di Natale e del giorno stesso di Natale, un gran numero di soldati provenienti da unità tedesche e britanniche (nonché, in misura minore, da unità francesi) lasciarono spontaneamente le trincee per incontrasi nella terra di nessuno per fraternizzare, scambiarsi cibo e souvenir. Oltre a celebrare comuni cerimonie religiose e di sepoltura dei caduti, i soldati dei due schieramenti intrattennero rapporti amichevoli tra di loro al punto di organizzare improvvisate partite di calcio.
La tregua non fu un fatto organizzato, né universalmente diffuso: in diverse zone del fronte i combattimenti proseguirono per tutto il giorno di Natale, mentre in altri i due schieramenti negoziarono solo tregue momentanee per seppellire i caduti. Gli episodi di fraternizzazione con il nemico furono giudicati negativamente dagli alti comandi e severamente proibiti per il futuro: già l'anno successivo alcune unità organizzarono cessate il fuoco per il giorno di Natale, ma le tregue non raggiunsero il grado di intensità e di fraternizzazione di quelle del 1914; per il Natale del 1916, dopo le traumatiche esperienze delle sanguinose battaglie di Verdun e della Somme e la diffusione dell'impiego di armi chimiche, nessuna tregua venne organizzata.
Nei primi mesi del conflitto, quando ancora la guerra di trincea era agli inizi, gli episodi di tregue spontanee tra le opposte fazioni non costituirono episodi rari, né limitati al solo periodo natalizio: in molti settori si instaurò un rapporto di "vivi e lascia vivere" tra i soldati, e unità opposte schierate a stretto contatto limitarono spesso gli atteggiamenti aggressivi o permisero atti di fraternizzazione, come lo scambio di sigarette o cessate il fuoco non ufficiali per permettere il recupero di morti e feriti dalla terra di nessuno; la tregua di Natale del 1914, tuttavia, rappresentò l'episodio maggiormente significativo di tutto il conflitto sia per il gran numero di uomini coinvolti più o meno contemporaneamente, sia per l'alto grado di partecipazione e fraternizzazione che si sviluppò.
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Benché nessun accordo ufficiale tra i belligeranti fosse stato pattuito, nel corso del Natale del 1914 circa 100.000 soldati britannici e tedeschi furono coinvolti in un certo numero di tregue spontanee lungo i rispettivi settori di fronte nelle Fiandre. I primi episodi ebbero luogo durante la notte della viglia, quando soldati tedeschi iniziarono a porre decorazioni natalizie nelle loro trincee nella zona di Ypres (in particolare nel settore dei villaggi di Saint-Yvon/Saint-Yves, Plugstreet/Ploegsteert e Comines/Warneton), dove Bruce Bairnsfather (noto umorista e cartoonist britannico, all'epoca capitano di un'unità di mitraglieri del Royal Warwickshire Regiment) descrisse l'episodio: i tedeschi presero a mettere candele sul bordo delle loro trincee e su alcuni alberi nelle vicinanze, iniziando poi a cantare alcune tipiche canzoni natalizie; dall'altro lato del fronte, i britannici risposero iniziando anche loro a cantare, e dopo poco tempo soldati dell'uno e dell'altro schieramento presero ad attraversare la terra di nessuno per scambiare con la controparte piccoli doni come cibo, tabacco, alcolici e souvenir quali bottoni delle divise e berretti[8].
In molti casi gli episodi di fraternizzazione proseguirono anche la mattina di Natale: una forte gelata indurì il terreno e disperse l'odore di putrefazione dei cadaveri insepolti, e diversi gruppi di soldati dei due schieramenti si incontrarono nella terra di nessuno per scambiarsi doni e scattare foto ricordo; il livello di fraternizzazione fu tale che vennero persino organizzate improvvisate partite di calcio tra i militari tedeschi e quelli britannici. La tregua fornì poi l'occasione per recuperare i caduti rimasti abbandonati nella terra di nessuno e dare loro sepoltura; durante questa fase, furono organizzate anche funzioni religiose comuni per tutti i caduti. Nei settori del fronte interessati dalla tregua l'artiglieria rimase muta e non si verificarono combattimenti su vasta scala per tutto il periodo natalizio; anche così, comunque, in alcuni casi soldati che si avvicinavano alle trincee nemiche furono presi a fucilate dagli avversari. Nella maggior parte dei settori interessati la tregua durò solo per il giorno di Natale, ma in alcuni casi si prolungò fino alla notte di Capodanno.
Bruce Bairnsfather, testimone degli avvenimenti, scrisse: "Non dimenticherò quello strano e unico giorno di Natale per niente al mondo... Notai un ufficiale tedesco, una specie di tenente credo, ed essendo io un po' collezionista gli dissi che avevo perso la testa per alcuni dei suoi bottoni [della divisa]... Presi la mia tronchesina e, con pochi abili colpi, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in tasca. Poi gli diedi due dei miei bottoni in cambio... Da ultimo vidi uno dei miei mitraglieri, che nella vita civile era una sorta di barbiere amatoriale, intento a tagliare i capelli innaturalmente lunghi di un docile "Boche", che rimase pazientemente inginocchiato a terra mentre la macchinetta si insinuava dietro il suo collo".
Un altro testimone britannico, il capitano Sir Edward Hulse Bart, riferì che il primo interprete che incontrò nelle linee tedesche era originario del Suffolk, dove vi aveva lasciato la propria ragazza e la propria motocicletta; Hulse Bart descrisse anche di una canzoncina "terminata con un "Auld Lang Syne" che unì noi tutti, inglesi, scozzesi, irlandesi, prussiani, württemburghesi etc. Fu una cosa assolutamente incredibile, e se l'avessi vista in una pellicola cinematografica avrei giurato che fosse una messiscena!" Il tenente tedesco Johannes Niemann scrisse: "afferrato il binocolo e scrutato con cautela oltre il parapetto, ebbi la vista incredibile dei nostri soldati che scambiavano sigarette, grappa e cioccolato con il nemico"
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Sandro Botticelli, Natività mistica, 1501
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La Natività mistica è un dipinto ad olio su tela di Sandro Botticelli, datato 1501 e conservato alla National Gallery di Londra che lo acquistò nel 1848..
L'opera è l'unica firmata e datata da Botticelli; nonostante ciò la sua storia è piuttosto oscura. Si pensa che fosse originariamente destinata alla devozione privata di qualche famiglia nobiliare fiorentina ed è spesso citata come ultimo capolavoro dell'artista, prima di un periodo di inattività prima della morte, testimoniato anche da una lettera a Isabella d'Este del 1502.
Il titolo di Natività mistica è stato assegnato dalla critica moderna per sottolineare il complesso simbolismo della scena.
Il soggetto della tavola è la natività di Cristo, interpretata come un'adorazione del Bambino da parte di Maria, dei pastori e dei Magi tra cori angelici. Al centro si trova la grotta della natività, forata sul dietro per lasciar intravedere il bosco e coperta da una tettoia di paglia retta da tronchi, con il Bambino al centro su un giaciglio coperto da un telo bianco, la giganteggiante Vergine a destra e l'adorante e meditante Giuseppe a sinistra; dietro si vedono il bue e l'asinello, simboli tradizionali di ebrei e pagani che assistettero all'evento senza prendervi parte.
Il resto delle figure è disposto in maniera strettamente ritmica, generando simmetrie e andamenti che hanno la cadenza di un balletto. A sinistra un angelo vestito di rosa accompagna i tre re Magi; a destra uno vestito di bianco indica il Bambino a due pastori. Entrambi tengono in mano rami d'ulivo, simbolo di pace. In basso, ai piedi di un sentierino tra rocce scheggiate, tre gruppi mostrano l'abbraccio e il bacio di comunione tra angeli e personaggi laureati, quindi virtuosi, mentre sul terreno cinque diavoletti fuggono spaventati trafiggendosi coi loro stessi forconi e ricacciandosi nelle profondità attraverso le crepe del suolo: si tratta probabilmente di una visione profetica della liberazione dell'umanità dal male.
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Sopra la tettoia tre angeli, con le vesti che ricordano i colori delle tre Virtù teologali (da sinistra bianco per la Fede, rosso per la Carità e verde per la Speranza) intonano un canto reggendo un corale tra le mani. Più in alto, oltre il boschetto che circonda la grotta, fatto di slanciati alberelli disposti a semicerchio, e il cielo azzurrino, si apre un fulgido brano di paradiso, su fondo oro, dove un gruppo di dodici angeli inscena un vorticoso carosello tenendosi per mano e reggendo rametti d'ulivo a cui sono appesi nastri svolazzanti e corone. Questo fantastico girotondo venne probabilmente ispirato da una reale sacra rappresentazione messa in scena da Filippo Brunelleschi in San Felice in Piazza. Si tratta di una ricreazione dell'Annunciazione, in cui dei fanciulli stavano sospesi nel vuoto, sostenuti da una struttura dorata a forma di cupola, simulando un coro angelico. Questo tipo di rappresentazione ebbe un successo tale che venne a lungo replicata per cui non è escluso che Botticelli l'avesse potuta osservare direttamente.
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L'opera combina il tema della nascita di Cristo con quello della sua seconda venuta, cioè il ritorno sulla Terra prima del Giudizio Universale come promesso nel Libro della Rivelazione. In quell'occasione si assisterà alla completa riconciliazione tra gli uomini e Dio, come sembrano preannunciare le figure abbracciate in primo piano. Oppure le tre coppie potrebbero indicare i mezzi per vincere la presenza del male, ovvero la fratellanza e, tramite l'esempio degli angeli, la preghiera.
Sicuramente il soggetto venne ispirato dalla situazione religiosa e politica fiorentina all'alba del nuovo secolo, memore ancora dei tragici eventi che avevano visto la calata di Carlo VIII, la cacciata di Piero de' Medici dalla signoria della città e la presa di potere del partito di Girolamo Savonarola. Botticelli in particolare dovette essere molto colpito dalla figura del frate ferrarese, e in tutte le sue opere dell'ultima fase, dagli anni ottanta in poi, si assiste a un ripiegamento verso forme sempre più drammaticamente religiose, ricche di significati escatologici e caratterizzate da convenzioni stilistiche volutamente arcaizzanti, che lasciarono sostanzialmente isolato l'artista nel panorama artistico dell'epoca.
Il pathos che si respira nel quadro è eloquente e ricorda il canto del partito savonaroliano Al vaglio, al vaglio, venite tutti quanti e con amari pianti. Non mancano però elementi della cultura umanistica, come la scritta in greco che corre lungo l'estremità superiore della tavola, che riporta la data e alcuni riferimenti alle condizioni dell'Italia in quel frangente, che vengono definite "torbide". Per molti studiosi l'iscrizione sarebbe un riferimento indiretto al Savonarola e all'avverarsi delle sue profezie catastrofiche.
Il confronto con una precedente Adorazione dei Magi mostra l'evidente avvenuto mutamento nella pittura del Botticelli.
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Last Edit: 11 years 4 months ago by papone.
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20 modi per mettere Babbo natale in confusione.
11-20
11. Portate tutto fuori di casa, come se vi avessero appena derubato. Quando arriva Babbo Natale, fatevi trovare vestiti da poliziotto e ditegli: “Bene bene bene …. Ritornano sempre sul luogo del delitto”.
12. Lasciate una copia della vostra lettera a Babbo Natale con cambi fatti all’ultimo momento e correzioni
13. Mentre è in casa, coprite la sommità del caminetto con del filo spinato.
14. Preparate una serie di trofei di caccia e fucili vari che distribuirete in modo che Babbo Natale li possa vedere bene. Uscite rapidamente e fatevi sentire chiaramente mentre dite: “Ooh! Guarda! Una renna! E con il naso rosso! “ e sparate un colpo di fucile. Va bene anche se caricato a salve.
15. Lasciategli un biglietto spiegando che avete cambiato casa. Accludete una cartina approssimativa e
delle indicazioni difficili da leggere per spiegare dov’è la nuova casa.
16. Predisponete una trappola da orsi in fondo al camino. Aspettate che Babbo Natale ci rimanga imprigionato, e poi spiegategli che vi dispiace molto dell’accaduto, ma che da lontano sembrava proprio un orso.
17. Fategli trovare un vestito da Babbo Natale con il conto della lavanderia a secco.
18. Disegnatevi delle impronte di zoccoli sul viso e sui vestiti. Mentre lui è in casa, uscite sul tetto. Quando ritorna, comportatevi come se foste stati travolti. Minacciatelo di denunciarlo per lesioni colpose.
19. Invece che con le solite palle di Natale decorate l’albero con uova di Pasqua.
20. Vestitevi da coniglietto pasquale. Aspettate che arrivi babbo natale per dirgli: “Qui non c’è abbastanza posto per tutte e due!”.
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Last Edit: 11 years 4 months ago by papone.
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«Settantunooo… i piedi diacci…».
In piedi davanti al camino, lo zio Italo appoggiò il numeretto di legno sul tavolo, con cura, accanto al sacchetto di stoffa. Massimo, che sapeva che nella sua cartellina non c’era nessun settantuno, vagò con lo sguardo in giro e controllò pure la cartella di Aldo, anche quella scevra da numeri settantuno di ogni genere.
Non tutto il male vien per nuocere, questo si sa; quell’anno, però, questo proverbio aveva assunto una notazione particolare quando Ampelio aveva detto a Massimo, il ventitré mattina, che nonna Tilde aveva l’influenza.
«E ora, povera donna, è preoccupata per il cenone» aveva detto Ampelio, con l’aria di chi del cenone gli importa una sega, però se non ci penso io la tu’ nonna mi fa una testa come un paiolo. «Quest’anno siamo in dodici, più i bimbi sedici. E come si fa?».
«Si fa che venite da me» aveva detto Aldo. «Io il ventiquattro resto sempre chiuso e si fa la cena con Tavolone e tutto il personale, per farci gli auguri. Vi unite e festa fatta».
E così, per la prima volta da vent’anni, niente cenone in casa di nonna Tilde. Il che significava niente crostini col sugo di fegatini millenari, niente pesce finto (temibilissimo laterizio semicommestibile a base di tonno e patate, di nessun gusto e di ancor meno digeribilità) e nessuna delle mille declinazioni di fritto che caratterizzavano il cenone natalizio da sempre. Al loro posto la cucina di Tavolone: polpo grigliato con purè di patate e finocchi, risotto al prosecco con zucchine e fiori di zucchina fritti, grigliata di gamberi imperiali con i fagioli del purgatorio, e per finire il pandoro fatto in casa da Tavolone medesimo, tagliato, scaldato trenta secondi in forno e servito con una coppetta di gelato a parte.
«Quarantottooo… si stava meglio…».
E poi la tombola, certo, subito prima dei regali; chi vinceva la tombola infatti non vinceva nulla, solo il diritto ad essere quello che distribuiva i regali, messi sotto l’albero già dal pomeriggio.
Massimo adorava, per motivi non chiari, quell’assurdo rituale, che non aveva niente di sensato; a partire dal fatto che il delegato ad estrarre i numeri era da tempo immemorabile lo zio Italo, il quale non ci vedeva un’ostia nonostante lenti spesse come un tramezzino, e che un Natale aveva chiamato tre volte il cinquantasei.
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E, ancora con l’animo del bambino, Massimo adorava i regali; sia farli che riceverli. Gli piaceva, specialmente, trovare il regalo giusto per la persona impossibile, come la volta che aveva regalato ad Ampelio un piccolo cuscino pieno di noccioli di ciliegia, da mettere nel microonde, che poi rilasciava calore per un’ora o due. Suo nonno lo aveva guardato, aveva bofonchiato un ringraziamento a mezza bocca e lo aveva messo lì, salvo poi andarci a dormire tutte le notti da settembre a maggio, e sbraitare se la Tilde tentava di usarlo lei, qualche volta.
«Hai visto che domani notte mettono le ronde?» disse Aldo, posizionando un piccolo fagiolo sul suo quarantotto.
«No, non ne sapevo niente. Ronde con l’etilometro?».
«Ma no, cosa c’entra l’etilometro. Mettono le ronde per il tizio della spazzatura. Lo Svuotatore folle».
Quanto al riceverli, i regali, il momento più bello era cercare di individuare quali fossero, sotto l’albero, i propri pacchetti, e la sottile soddisfazione che provava quando ci imbroccava era decisamente superiore, di solito, a quella che gli toccava quando apriva il pacchetto, trovandoci spesso una ennesima dimostrazione di cattivo gusto; con l’eccezione di Serena, la figlia di zio Italo, che pur vedendolo una volta ogni due o tre mesi riusciva sempre a regalargli qualcosa di cui effettivamente Massimo aveva bisogno. Una volta, per esempio, poco dopo il divorzio, gli aveva regalato un buono per un weekend in una beauty farm, con tanto di libro di accompagnamento. Il libro era Il birraio di Preston, e il weekend era stato una bolla di puro benessere.
«Folle, ma metodico. L’hanno presa di punta, insomma» disse Massimo, mentre guardava Ampelio in piena digestione che tentava di non addormentarsi sulla cartellina.
«Pare di sì» rispose Aldo distrattamente. «Allora, com’è andata la cena?».
«Bene, bene. Veramente bene. Tavolone è un artista. A proposito di cene…».
E qui Massimo avrebbe avuto intenzione di chiedere ad Aldo quanto gli dovevano per l’invasione, tenuto conto che il ristorante era chiuso e che gli erano piombate fra capo e collo sedici persone, la metà almeno delle quali mangiavano come profughi. Evidentemente, la domanda era insita nel tono, visto che Aldo troncò:
«Non mi dovete niente».
«Ascolta, Aldo, non metterti a fare il sultano. Eravamo in sedici…».
«Meglio. Più gente c’è, più vita c’è, e più sono contento».
E Aldo fece un ampio gesto con la mano, una specie di panoramica sulla famiglia di Massimo e di Ampelio, con la colonna sonora dello zio Italo che, dopo aver portato gli occhiali a due centimetri circa dal cerchietto di legno, declamava:
«Ottantaseiii… ha càato Ida…».
«Questo posto è casa mia, e lo sai» disse Aldo. «E io a casa mia invito chi mi pare. E poi, abbi pazienza, la famiglia tua e di Ampelio è di quelle potabili. Non hai parenti particolarmente molesti, e ce ne sono altri che sono veramente spassosi».
Come se lo avesse sentito, lo zio Italo pescò un ulteriore numeretto dal sacchettino, dopodiché indicò Massimo con un ampio cenno della mano e, come tutti gli anni, proclamò:
«Ventottooo… ir becco…».
Come tutti gli anni. Poi uno legge «strage di parenti a Natale» e pensa ad un attacco di follia.
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C'è un folletto dispettoso e burlone che ama spaventare la gente mettendosi a gridare quando meno te l'apetti.
O che ti sveglia in piena notte sbattendo la porta.
Qual è il suo nome?
2.
Negli anni 80 un notissimo cantautore scrisse una canzone ispirata alla tregua del Natale 1914.
Qual èm il titolo di questa canzone?
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Last Edit: 11 years 4 months ago by kriskris.
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La natività, Lorenzo Lotto
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L'effettiva data di nascita di Gesù è sconosciuta: essa non è esplicitamente riportata dai Vangeli, le principali fonti storiche su Gesù, né da altre fonti del tempo. Dato che i Vangeli la collocano negli ultimi anni del re Erode il Grande, vi è sostanziale accordo tra quasi tutti gli studiosi nel collocare la nascita di Gesù tra il 7-6 a.C. Secondo la maggior parte degli storici, infatti, Erode sarebbe morto nel 4 a.C., anche se vi sono state e vi sono tuttora ripetute proposte di altre date.
La datazione tradizionale all'anno 1 a.C., il cui anno successivo è il primo del calendario giuliano-gregoriano (il numero zero non viene infatti utilizzato per indicare un anno in quasi tutti i sistemi cronologici) risale al monaco Dionigi il Piccolo nel VI secolo. Questa datazione si discosta comunque solo di uno o due anni dalla datazione fornita dai Padri della Chiesa sin dal II-III secolo.
L'istituzione della festa liturgica del Natale, come ricorrenza della nascita di Gesù, e la sua collocazione al 25 dicembre è documentata a partire dal 336
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Le uniche fonti testuali che riferiscono della nascita di Gesù sono i Vangeli di Matteo e Luca, che però non forniscono indicazioni cronologiche precise. Assumendo la validità delle informazioni storiche da essi fornite è però possibile dedurre un probabile intervallo di tempo nel quale collocare l'evento.
Mt 2,1 riferisce che Gesù nacque "nei giorni del re Erode", che regnò presumibilmente tra il 37 a.C. e il 4 a.C.. Non si può tuttavia escludere che nel 4 a.C. egli abbia semplicemente associato al regno i suoi figli.
Mt 2,16 riporta l'intenzione di Erode di uccidere i bambini di Betlemme sotto i due anni (strage degli innocenti). Assumendo la storicità del racconto, questo suggerisce che Gesù fosse nato uno o due anni prima dell'incontro di Erode coi magi.
nell'incontro tra Erode e i magi, nell'episodio della fuga in Egitto e nel ritorno alla morte di Erode, Matteo si riferisce a Gesù sempre col diminutivo paidìon, bambino piccolo (Mt 2,8.9.11.13.14.20.21). Indipendentemente dalla effettiva storicità di questi eventi Matteo conserva il ricordo di un Gesù molto piccolo (qualche anno?) alla morte di Erode.
Lc 1,5 può essere visto come una conferma di Mt 2,1. Riferisce che l'annuncio dell'arcangelo Gabriele a Zaccaria avvenne anch'esso "nei giorni del re Erode". Secondo Luca la nascita di Gesù avvenne quindici mesi dopo: dopo sei mesi ci fu l'annunciazione a Maria (Lc 1,26), alla quale seguì al termine dei nove mesi di gestazione la nascita di Gesù. Luca comunque non nomina direttamente Erode al momento della nascita di Gesù.
Lc 2,1 riferisce, nei giorni immediatamente precedenti la nascita di Gesù, di un censimento "di tutta la (terra) abitata" da parte di Augusto, che fu imperatore tra il 27 a.C. e il 14 d.C. Indisse tre censimenti universali: nel 28 a.C. (ancora console), 8 a.C., 14 d.C. (Res Gestae Divi Augusti 8, lat. gr. ing.). L'identificazione del censimento evangelico con quello indetto nell'8 a.C. è probabile ma non sicura (vedi Censimento di Quirinio).
Lc 2,2 specifica che in occasione del censimento di Augusto era "governante la Siria Quirinio". Costui fu governatore vero e proprio della Siria dal 6 d.C.: il dato è apparentemente incompatibile con l'indicazione evangelica del regno di Erode, morto dieci anni prima. Studiosi cristiani hanno però evidenziato che Quirinio aveva ricoperto in Siria alcuni incarichi ("governante") già durante il precedente governatore, Senzio Saturnino, ed è possibile che questi gli avesse affidato l'incarico di occuparsi del censimento indetto da Augusto per la Siria e per il territorio del re 'alleato' (di fatto, sottomesso) Erode il Grande (vedi Censimento di Quirinio). Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che nel II secolo Tertulliano aveva dichiarato che Gesù era nato all'epoca di Senzio Saturnino.
Lc 3,1 riferisce che Giovanni Battista iniziò la sua predicazione "nel quindicesimo anno di Tiberio" (attorno al 28 d.C., vedi Inizio del ministero di Gesù). All'inizio del suo ministero, di poco successivo a quello del Battista, Gesù aveva "circa trent'anni" (Lc 3,23), che rimanda a una data di nascita attorno al 2 a.C. La cifra "trenta", però, può essere stata arrotondata per richiamare simbolicamente l'inizio del regno di Davide (2Sam 5,4). Inoltre Tiberio era stato associato al regno di Augusto già alcuni anni prima. Ciò consente sia di retrodatare questa indicazione di alcuni anni sia di render conto della notizia di Tertulliano, secondo cui alcuni romani assegnavano la nascita di Gesù al dodicesimo anno del Regno di Tiberio.
Sulla base di Mt 2 la nascita di Gesù va collocata qualche anno prima della morte di Erode (4 a.C.), tra il 7-5 a.C. Sulla base dell'accenno al censimento universale indetto da Augusto (8 a.C.) di Lc 2, la nascita va collocata nel periodo immediatamente seguente a questo, tra l'8 e il 6 a.C.
In definitiva sulla base dei Vangeli, le uniche fonti storiche disponibili al riguardo, la data della nascita di Gesù è ipotizzabile attorno al periodo 7-6 a.C.
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