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L’esperienza fa la differenza
L’esperienza fa la differenza
di Marco Malvaldi
Nella settimana di Natale, l’unico stato d’animo che un barista non prova è la noia.
Si comincia la mattina, con i residenti di Pineta che si apprestano ad affrontare la giornata di shopping a Pisa con lo spirito di chi si avvia per la transumanza e cerca conforto nei fonti alpestri del cappuccino e del cornetto di Massimo.
Il flusso pastorale si fonde, pian piano, con la processione di Quelli Invitati a Pranzo Che Devono Portare una Bottiglia di Qualcosa Sennò Che Figura Ci Faccio, eternamente dibattuti tra la voglia di ben figurare e la ferrea volontà di spendere meno di dieci euro. Massimo chiede, consiglia, diffida, e fondamentalmente reprime. A volte educatamente («Se vuole il mio consiglio, fa molta più figura con questo»), a volte drasticamente («Con questa cifra, se vuole qualcosa che faccia le bollicine, posso suggerirle solo un chinotto») e a volte di sponda («Fanno sette e cinquanta. Se vuole il pacchetto, quiaccanto c’è un’ottima cartoleria»).
Il tutto – l’affanno continuo, le richieste assurde, fare tutto da solo perché guarda caso il diciannove dicembre la banconista part-time riesce a prendere il morbillo, tenere d’occhio il totem con i cioccolatini di Amedei ben sapendo che ne verranno fregati più di quelli che verrano venduti – sarebbe già abbastanza da mandare di fuori una persona normale. Se poi ci aggiungiamo, in un angolo, quattro vecchietti placidi e tranquilli, che giocano a carte e leggono il giornale come se niente fosse…
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papone
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Last Edit: 11 years 4 months ago by papone.
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«Ecco qua» disse Massimo, appoggiando sul bancone un pacchetto che, nonostante cinque minuti di immane fatica e almeno dieci bestemmie in playback, sembrava disegnato da Gaudì.
Il cliente lo guardò, incerto se ringraziare.
«Desidera altro? Benissimo. Sono ventitré e cinquanta».
E con aria professionale, Massimo dette l’ultimo tocco al suo capolavoro inserendolo in una busta di cartone, insieme ad un cartoncino del BarLume.
«Ecco qua. Buona serata e buon Natale».
«Però, come sei diventato professionale. Sembra quasi che tu glielo auguri per davvero» disse Aldo, dal tavolo in fondo, non appena il tizio fu uscito.
«Qualcosa gli auguro di sicuro» rispose Massimo, guardando sconfortato il casino che aveva creato sul bancone per riuscire a fare il pacchetto. «Ma dico io, con tutte le enoteche che ci sono in giro, devi venire proprio qui a comprare una bottiglia da regalare? Bisogna essere dei poveri di spirito. La paghi di più, ti becchi un pacchetto orrido, e ora devo pulire con il napalm. Dimmi te se è da furbi…».
«Guarda, Massimo, queste cose succedano perché ormai hai un nome» disse il Del Tacca appoggiando con cura un sette di briscola sul tavolino. «Ce lo vedo già, quer citrullo, mentre lo scartano. “Ò, questovì è bono per forza, eh. L’ho preso da Massimo”. Era contento anche se gli davi la gazzosa».
«Ha ragione Pilade» disse Gino, irridendo con soddisfazione il sette di denari con un inutile quattro di fiori. «Fatti un nome, piscia a letto e diran tutti che hai sudato. Lo diceva sempre la mi’ mamma».
«Ne diceva tante, la tu’ mamma» ricordò Ampelio, appoggiando un fiducioso tre sul mucchietto. Al che Aldo, con aria sapiente, si schiarì la gola ed estrasse un fante di briscola, con il quale radunò le tre carte succitate. Ampelio lo guardò malissimo.
«La mia, invece, più che altro passava all’azione, lo so» disse Aldo in modo professionale. «Comunque, Massimo, non sei il solo che ha problemi di spazzatura. Il nostro amico stanotte ha colpito ancora».
«E io ci godo come un maiale» disse Pilade assestandosi sulla seggiola. «Se lo meritano tutte le vòrte che lo fa. E se lo trovo a giro per la strada, e lo vedo, gli do una mano».
«Ma ormai mi sa che arrivi tardi» disse Gino, protendendo la mano adunca verso il giornale. «Ogni settimana va sempre più lontano. Stanotte è arrivato fino dall’amerìani».
«Come, dagli americani?».
«Oh, c’è scritto vì».
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E, con la sua voce alta e impersonale, cominciò.
«“Continua la guerra della spazzatura. Servizio di Armando Anfossi. Pineta. Continuano? Non solo. Continuano e si estendono, gli atti di vandalismo che vedono coinvolto da più di una settimana il Comune di Pineta. Settimana dopo settimana, i cittadini dei quartieri nei quali è attiva la raccolta differenziata porta a porta – avanzi di cibo, sfalci di piante e altro materiale biodegradabile – lasciano fuori dalla porta il loro bravo secchiello smart-lock. E ogni settimana, nottetempo, qualcuno apre tutti i secchielli, uno per uno, ne estrae il sacchettino biodegradabile, lo rompe e ne sparge il contenuto per tutta la strada, lordando ovunque. Il vandalo, che dapprima aveva limitato le sue scorribande al solo quartiere di Trieste, ha continuato ad allargare il suo campo d’azione, includendo prima il quartiere di Santa Bona ed infine, stanotte, l’intera zona residenziale che costeggia Camp Darby. Il che ha portato più d’uno a pensare che il vandalo abbia fatto opera di pro-se-li-tismo”, mamma mia come scrive difficile questo vì, “e che ormai sia coadiuvato da uno o più complici”».
«Ai quali tutti brindo, uno per uno» disse Aldo, levando in alto un inopportuno bicchiere di cedrata.
«E io mi associo» rincarò Pilade. «In culo a loro, alla raccorta differenziata, all’organico settimanale e al budello delle loro mamme, morte e vive nel casino».
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papone
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Last Edit: 11 years 4 months ago by papone.
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English lesson #1 : Christmas time
Nelle seguenti frasi sono nascoste quattro celebri canzoni natalizie.
Sapete indicarne il titolo (in inglese) ?
Decolorized Yule
Arrival at 24: 00 Hours - Weather: No Clouds
We Do Hope That You’ll Enjoy Your Yuletide Season
Nocturnal Noiselessness
Pious and dark
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papone
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Last Edit: 11 years 4 months ago by papone.
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papone
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Last Edit: 11 years 4 months ago by papone.
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L'avvento, in molti riti cristiani, è il tempo liturgico che precede il Natale ed è preparatorio allo stesso: nei riti cristiani occidentali segna l'inizio del nuovo anno liturgico. La parola avvento deriva dal latino adventus e significa "venuta" anche se, nell'accezione più diffusa, viene indicato come "attesa".
Nelle chiese occidentali
L'avvento è presente negli anni liturgici della Chiesa cattolica, della Confessione luterana e della Comunione anglicana. In tutte le confessioni questo periodo è contraddistinto da un atteggiamento di attesa del Natale imminente da parte dei fedeli e dal raccoglimento e dalla preghiera per l'accoglienza del Messia di cui si rivive spiritualmente la nascita.
Rito romano
Nel rito romano della Chiesa cattolica l'Avvento contiene quattro domeniche e può durare quattro settimane. Si compone di due periodi; inizialmente si guarda all'Avvento futuro del Cristo nella gloria alla fine dei tempi, occasione di penitenza; dal 17 dicembre la liturgia pone invece l'attenzione sull'Avvento di Cristo nella pienezza dei tempi, con la sua Incarnazione.
In avvento il colore dei paramenti sacri del sacerdote è il viola, tranne la domenica della terza settimana in cui facoltativamente possono essere indossati paramenti rosa. Questa domenica infatti è chiamata Gaudete, a motivo dell'antifona di ingresso della messa, che riporta un passo della Lettera ai Filippesi in cui Paolo invita alla gioia: «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino.»; il carattere penitenziale dell'Avvento è dunque stemperato dalla speranza della venuta gloriosa di Cristo.
Nella liturgia delle Sante Messe del periodo di avvento (come in quaresima) non viene recitato l'inno del Gloria. Dal 29 novembre al 7 dicembre è tradizione celebrare, in molte chiese latine, la Novena dell'Immacolata cui fa seguito, dal 16 al 24 dicembre, la Novena di Natale.
Domeniche di Avvento
I nomi tradizionali delle domeniche di avvento sono tratti dalle prime parole dell'introito. Nelle prime tre settimane derivano dal salmo 25, 80 e 85 e nella quarta dal libro di Isaia (45,8)
domenica d'avvento: Ad te levavi (Ad te levavi animam meam)
domenica d'avvento: Populus Sion (Populus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes)
domenica d'avvento: Gaudete (Gaudete in Domino semper cioè "Rallegratevi nel Signore sempre")
domenica d'avvento: Rorate (Rorate, coeli desuper, et nubes pluant iustum).
Inni d'avvento
La liturgia romana prevede i seguenti inni d'avvento, di cui alcuni specifici del periodo:
Fino al 16 dicembre
Conditor alme siderum (Benigno creatore degli astri) - Vespri
Te lucis ante terminum (Tu, prima del termine della luce) - Compieta
Verbum supernum prodiens - Ufficio delle letture (mattutino)
Vox clara ecce intonat (En clara vox redarguit) - Lodi
Nunc Sancte nobis Spiritus - Terza
Rector potens verax Deus - Sesta
Rerum Deus tenax vigor - Nona
Dal 17 al 23 dicembre
Verbum salutis omnium
Christe qui splendor
Veni redemptor gentium inno di Sant'Ambrogio
Magnis prophetae vocibus
Certum tenentes ordinem
Dicamus laudes Domino
Ternis horarum terminis
Antifone maggiori
Nelle cosiddette ferie maggiori dell'Avvento, dal 17 al 23 dicembre, vengono cantate, prima del Magnificat ai vespri e come versetto alleluiatico ai vangelo della messa del giorno, sette antifone latine d'avvento, dette anche antifone O, perché cominciano tutte con il vocativo "O", secondo il seguente ordine:
17 dicembre: O Sapientia
18 dicembre: O Adonai
19 dicembre: O Radix Jesse
20 dicembre: O Clavis David
21 dicembre: O Oriens
22 dicembre: O Rex Gentium
23 dicembre: O Emmanuel
Avvento ambrosiano
Nel rito ambrosiano della Chiesa cattolica l'Avvento contiene sei domeniche e può durare sei settimane. Inizia la prima domenica dopo il giorno di San Martino (11 novembre) e prevede sempre 6 domeniche (quando il 24 dicembre cade di domenica, è prevista la celebrazione di una Domenica Prenatalizia). Nel rito ambrosiano è previsto il colore morello, tranne che nell'ultima domenica (detta "dell'Incarnazione") nella quale si usa il bianco.
domenica della venuta del Signore
domenica dei figli del regno
domenica delle profezie adempiute
domenica dell'ingresso del Messia
domenica del precursore
domenica dell'Incarnazione
Altri riti
In alcune Province della Chiesa anglicana in luogo del colore viola viene utilizzato il colore azzurro.
Nelle chiese orientali
Nelle chiese ortodosse - in cui viene anche chiamato digiuno della natività, quaresima invernale o di natale - l'avvento dura 40 giorni, a partire dal 15 novembre (28 novembre per le chiese che usano il calendario giuliano), mentre in altre chiese orientali comincia a partire dalla domenica più vicina al giorno di Sant'Andrea (30 novembre) e dura fino a Natale.
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Miniatura del Messale trecentesco di Jan ze Středy che riporta l'introito della prima domenica d'Avvento: Ad te levavi animam meam, Deus meus, in te confido, non erubescam.
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IL TEMPO DI AVVENTO
1 - La storia
Nel tempo in cui incomincia a determinarsi l'esigenza di un periodo di preparazione alle feste della manifestazione del Signore, la Chiesa aveva già fissato le modalità di preparazione alle feste pasquali. Nel IV secolo il tempo pasquale e quaresimale avevano già assunto una configurazione vicinissima a quella attuale.
L'origine del tempo di Avvento è più tardiva, infatti viene individuata tra il IV e il VI secolo. La prima celebrazione del Natale a Roma è del 336, ed è proprio verso la fine del IV secolo che si riscontra in Gallia e in Spagna un periodo di preparazione alla festa del Natale.
Per quanto la prima festa di Natale sia stata celebrata a Roma, qui si verifica un tempo di preparazione solo a partire dal VI secolo. Senz'altro non desta meraviglia il fatto che l'Avvento nasca con una configurazione simile alla quaresima, infatti la celebrazione del Natale fin dalle origini venne concepita come la celebrazione della risurrezione di Cristo nel giorno in cui si fa memoria della sua nascita. Nel 380 il concilio di Saragozza impose la partecipazione continua dei fedeli agli incontri comunitari compresi tra il 17 dicembre e il 6 gennaio.
In seguito verranno dedicate sei settimane di preparazione alle celebrazioni natalizie. In questo periodo, come in quaresima, alcuni giorni vengono caratterizzati dal digiuno. Tale arco di tempo fu chiamato "quaresima di s. Martino", poiché il digiuno iniziava l'11 novembre. Di ciò è testimone s. Gregorio di Tours, intorno al VI secolo.
2 - Il significato teologico
La teologia dell'Avvento ruota attorno a due prospettive principali. Da una parte con il termine "adventus" (= venuta, arrivo) si è inteso indicare l'anniversario della prima venuta del Signore; d'altra parte designa la seconda venuta alla fine dei tempi.
Il Tempo di Avvento ha quindi una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
3 - L'attuale celebrazione
Il Tempo di Avvento comincia dai primi Vespri della domenica che capita il 30 novembre o è la più vicina a questa data, e termina prima dei primi Vespri di Natale. E' caratterizzato da un duplice itinerario - domenicale e feriale - scandito dalla proclamazione della parola di Dio.
1. Le domeniche
Le letture del Vangelo hanno nelle singole domeniche una loro caratteristica propria: si riferiscono alla venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica), a Giovanni Battista (Il e III domenica); agli antefatti immediati della nascita del Signore (IV domenica). Le letture dell'Antico Testamento sono profezie sul Messia e sul tempo messianico, tratte soprattutto dal libro di Isaia. Le letture dell'Apostolo contengono esortazioni e annunzi, in armonia con le caratteristiche di questo tempo.
2. Le ferie
Si ha una duplice serie di letture: una dall'inizio dell'Avvento fino al 16 dicembre, l'altra dal 17 al 24. Nella prima parte dell'Avvento si legge il libro di Isaia, secondo l'ordine del libro stesso, non esclusi i testi di maggior rilievo, che ricorrono anche in domenica. La scelta dei Vangeli di questi giorni è stata fatta in riferimento alla prima lettura. Dal giovedì della seconda settimana cominciano le letture del Vangelo su Giovanni Battista; la prima lettura è invece o continuazione del libro di Isaia, o un altro testo, scelto in riferimento al Vangelo. Nell'ultima settimana prima del Natale, si leggono brani del Vangelo di Matteo (cap. 1) e di Luca (cap. 1) che propongono il racconto degli eventi che precedettero immediatamente la nascita del Signore. Per la prima lettura sono stati scelti, in riferimento al Vangelo, testi vari dell'Antico Testamento, tra cui alcune profezie messianiche di notevole importanza.
4 - La novena di Natale
Come si è appena visto, il tempo di Avvento guida il cristiano attraverso un duplice itinerario: "È tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi" (Norme per l'anno liturgico e il calendario, 39: Messale p. LVI). Nella liturgia delle prime tre domeniche e nelle ferie sino al 16 dicembre si può notare l'insistenza sul tema della seconda venuta di Gesù alla fine dei tempi, mentre nei giorni compresi tra il 17 e il 24 tutta la liturgia è ormai tesa verso la celebrazione della nascita del Figlio di Dio. La novena di Natale cade pienamente nel secondo periodo dell'Avvento.
Le novene sono celebrazioni popolari che nell'arco dei secoli hanno affiancato le "liturgie ufficiali". Esse sono annoverate nel grande elenco dei "pii esercizi". "I pii esercizi - afferma J. Castellano - si sono sviluppati nella pietà occidentale del medioevo e dell'epoca moderna per coltivare il senso della fede e della devozione verso il Signore, la Vergine, i santi, in un momento in cui il popolo rimaneva lontano dalle sorgenti della bibbia e della liturgia o in cui, comunque, queste sorgenti rimanevano chiuse e non nutrivano la vita del popolo cristiano".
La novena di Natale, pur non essendo "preghiera ufficiale" della Chiesa, costituisce un momento molto significativo nella vita delle nostre comunità cristiane. Proprio perché non è una preghiera ufficiale essa può essere realizzata secondo diverse usanze, ma un indiscusso "primato" spetta alla novena tradizionale, nella notissima melodia gregoriana nata sul testo latino ma diffusa anche nella versione italiana curata dai monaci benedettini di Subiaco.
La domanda che ogni operatore pastorale dovrebbe porsi di anno in anno è: "come posso valorizzare la novena di Natale per il cammino di fede della mia comunità?".
Può infatti capitare che tale novena continui a conservare intatta la caratteristica di "popolarità" venendo però a mancare la dimensione ecclesiale, celebrativa e spirituale. Tali dimensioni vanno recuperate e valorizzate per non far scadere la novena in "fervorino pre-natalizio".
1. Recupero della dimensione ecclesiale-assembleare
Pur non essendo - come si è detto - una preghiera ufficiale della Chiesa, la novena può costituire un momento ecclesiale molto significativo. Molti vi partecipano perché "attratti" dalla "novena in latino" (le chiese in cui la si canta in "lingua ufficiale" sono gremite!) e vi si recano per una forma di godimento personale che pone radici nella nostalgia dei tempi passati e non nel desiderio di condividere un momento di approfondimento della propria fede. È bene che i partecipanti prendano coscienza che sono radunati per una celebrazione che ha lo scopo di preparare il cuore del cristiano a vivere degnamente la celebrazione del Natale.
2. Recupero della dimensione celebrativa
La novena di Natale è molto vicina alla celebrazione dei vespri. Va pertanto realizzata attraverso una saggia utilizzazione dei simboli della preghiera serale: la luce e l'incenso. È bene che vi sia una proclamazione della parola e una breve riflessione. L'intervento in canto dell'assemblea va preparato e guidato. È utile ricordare che l'esposizione del SS. Sacramento col solo scopo di impartire la benedizione eucaristica - usanza frequente nelle novene di Natale - è vietata (Rito del culto eucaristico n. 97).
3. Recupero della dimensione spirituale
La novena di natale è una "antologia biblica" ricca di nutrimento per lo spirito. È quindi l'occasione per proporre non una spiritualità devozionale ma ispirata profondamente dalla Parola di Dio. Non è l'occasione per fare "bel canto" ma per lasciarsi coinvolgere esistenzialmente dalla Parola di Dio cantata.
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kriskris
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RAFFAELLO SANZIO, Liberazione di san Pietro dal carcere,
1512-1514, Stanza Eliodoro, Musei Vaticani.
In un affresco realizzato nella seconda decade del ‘500 su una delle pareti della Stanza di Eliodoro, detta anche delle Udienze, in Vaticano, attigua alla Stanza della Segnatura dove sono custoditi gli affreschi della Scuola di Atene e della Disputa sul Sacramento, Raffaello Sanzio (1483-1520) ha tradotto l’episodio narrato dagli Atti degli Apostoli al capitolo 12,1-19. Il messaggio centrale che l’artista ha inteso consegnare al visitatore è che Dio assiste la sua Chiesa soprattutto nei momenti più difficili e di tribolazione. Non a caso gli eventi storici che avevano immediatamente ispirato il programma iconografico di questa Stanza indirizzavano l’attenzione sul potere spirituale e temporale della Chiesa e sulla fiducia incondizionata nell’assistenza divina ai suoi pastori e innanzitutto al Papa. Per questa ragione l’artista raffigura l’apostolo Pietro tenuto da Erode prigioniero in carcere nell’istante in cui viene visitato da un angelo inviatogli da Dio per salvarlo. Si tratta di un’opera tanto nota quanto poco compresa nella ricchezza dei suoi dettagli e nella profondità del suo insegnamento. È un affresco dominato dalle tenebre e dalla luce, dal buio squarciato da una luce abbagliante che proviene dall’angelo che libera Pietro costretto in catene a causa dell’annuncio del vangelo. L’Apostolo viene scarcerato perché possa tornare al suo ministero; la Parola di Dio, infatti, non può essere incatenata (cf. 2Tm 2,9). La scena rappresenta la parte centrale di un’opera più ampia e si svolge al di là di una possente grata di ferro murata a due pilastri massicci e robusti. La grata è resa dall’artista con una forte attenzione ai particolari e con un grande realismo. Se ne sente quasi il peso e se ne percepisce l’inviolabilità. Pietro è disteso a terra, addormentato, senza forze, stanco, legato a dei ceppi. Accanto a lui stazionano alcune guardie, anch’esse sopraffatte dal sonno. Le loro corazze sono illuminate dalla medesima luce che promana dall’angelo e che penetra le profondità oscure della cella. Il messaggero divino desta l’Apostolo dal suo torpore mortale toccandogli il fianco con la mano destra mentre con il braccio sinistro gli indica la via d’uscita. Si rivolge a lui con le parole: «Alzati, in fretta!» (v. 7). È infatti giunto per Pietro il tempo di riprendersi dal sonno perché la notte è avanzata e il giorno è vicino (cf. Rm 13,12). Non per nulla all’estremità sinistra dello stesso affresco Raffaello ha dipinto un cielo scuro che lentamente viene rischiarato dall’alba di un giorno nuovo. Il tempo si è fatto breve in quanto si è raccolto nell’istante della decisione e dell’annuncio (cf. 1Cor 7,29). Per l’Apostolo si fa ancora più urgente ritornare alla sua missione e testimoniare Cristo Risorto che ha “infranto le porte di bronzo e ha spezzato le barre di ferro” (cf. Sal 107,12), ha liberato dal carcere i prigionieri, ha risvegliato l’uomo dal sonno della morte, l’ha ridestato dal suo peccato, dalle sue paure, dalle sue ferite, per aprirlo alla forza liberante della speranza. Il tempo residuo è quello della testimonianza.
L’urgenza del momento resa dall’artista nella sua opera si coniuga tuttavia con l’atmosfera di profondo raccoglimento che pervade l’intera scena e che ricorda il primato dell’iniziativa divina sull’azione dell’uomo. È Dio che sta operando la salvezza; a Pietro viene chiesto di non opporre resistenza all’azione divina e di mettersi in cammino.
L’Avvento è il tempo della speranza e dell’attesa, del cammino e del raccoglimento, della luce che si afferma sul potere delle tenebre, della vita che germoglia lì dove prima dominava la morte. È il tempo in cui il cristiano che appartiene al giorno e non alle tenebre, deve rialzarsi per portare al mondo Cristo, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).
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«È ORMAI TEMPO DI SVEGLIARVI DAL SONNO» (Rm 13,11)
Lasciarsi educare alla responsabilità
«È ormai tempo di svegliarvi dal sonno» (Rm 13,11). Possiamo davvero sentire rivolte a noi le parole dell’apostolo Paolo, che invitavano la Chiesa di Roma a ridestare tutte le sue potenzialità.
Da quale sonno siamo chiamati ad uscire? C’è infatti un sonno che oscura la coscienza e la ragione; ma c’è anche un sonno nel quale Dio si rivela e parla: pensiamo all’esperienza di Giuseppe, sposo di Maria, che in sogno riceve la parola di Dio, e «svegliatosi dal sonno» si assume la responsabilità di custodire la madre e il bambino che dovrà nascere. Sembra più giusto, dunque, partire da questa visione del “sonno”: il periodo dell’attesa, dei tempi lunghi del discernimento, della formazione, dell’educazione, lo spazio richiesto per maturare decisioni forti.
In altri passi della Scrittura si parla poi del riposo del seme sotto terra, che «muore» (Mc 4,26-32; Gv 12,24) e si sviluppa irresistibilmente finché viene il tempo della mietitura: possiamo dire che molto è stato seminato nella Chiesa di Dio in Italia all’inizio del decennio dedicato all’educazione.
Viene il momento in cui tutto ciò dovrà manifestarsi, attraverso l’opera di persone capaci, come Giuseppe, di assumersi responsabilità e prendersi cura. La parola di Dio del tempo di Avvento e Natale ci rende “consapevoli del momento” e ci dona di risvegliare le energie positive che abbiamo ricevuto da Lui.
Presentiamo con fiducia, perciò, il sussidio unitario on-line per i tempi di Avvento e Natale, frutto del lavoro di alcuni uffici della Segreteria Generale della CEI. Esso può aiutare ad accogliere il Dio fatto uomo che si manifesta e viene in mezzo a noi donandoci la grazia della Sua presenza che accompagna il nostro cammino.
L’invito a vigilare, che risuonerà nell’Avvento, e la chiamata a cantare la gloria di Dio, che si diffonderà nel Natale, ci aiutino ad allontanarci dall’oscurità, a rimanere nella luce di Cristo, a custodire la speranza che egli ha acceso nei nostri cuori.
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kriskris
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Il Tempo di Avvento - Introduzione
Guardo da lontano e vedo arrivare la potenza del Signore,
come una nube che copre la terra;
andategli incontro e dite: Sei tu colui che aspettiamo,
il Re della casa d’Israele?
Voi tutti, abitanti della terra, figli dell’uomo,
poveri e ricchi insieme,
andategli incontro e dite:
Pastore d’Israele, ascolta,
tu che guidi il tuo popolo come un gregge,
sei tu colui che aspettiamo?
Sollevate, porte, i vostri frontali;
alzatevi, porte antiche: entri il Re della gloria, il Re della casa d’Israele.
(Prima domenica d’Avvento, Ufficio delle letture, responsorio dopo la lettura patristica)
Il responsorio che sigilla l’Ufficio delle letture della prima domenica di Avvento è un’eccellente sintesi degli atteggiamenti che la liturgia fa vivere ai credenti in questo tempo. È l’attesa di un popolo intero, è soprattutto l’attesa di un popolo di poveri, desideroso di abbracciare l’unico che può dargli vita e salvezza. È un’ attesa dinamica poiché egli viene incontro al suo popolo, ma anche il popolo si mette in cammino verso il suo Signore. Dono e impegno come il sentimento di stupore misto a invocazione ardente che permea questa preghiera densa di riferimenti biblici (cfr. Mt 11,3, Sal 49,3, Mt 25,6; Sal 80,2; Sal 24,7.9). Soprattutto l’immagine conclusiva delle porte del tempio è particolarmente efficace per cogliere la dinamica iniziatica del tempo di Avvento. Se il Signore entra solennemente nel suo tempio, come Cristo è entrato nella storia dell’uomo, anche il credente è chiamato a varcare la soglia del rito per accedere per via simbolica al mistero che lo rigenera. L’Avvento, vera soglia dell’anno liturgico, è icona temporale e liturgica di Cristo, porta delle pecore (cfr. Gv 10,9), attraverso la quale i discepoli devono passare se vogliono avere salvezza. Un passaggio necessario nei ritmi e nei simboli per accogliere il Re della gloria e lasciarsi da lui risollevare. Evidentemente l’atteggiamento della vigilanza è l’atteggiamento fondamentale. Nella celebrazione i tempi si contraggono e la memoria del passato e della lunga attesa di Israele prepara, prelude e, in qualche modo realizza, l’attesa della Chiesa. Pertanto «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (Rm 13,11). Se il sonno è sinonimo di assenza e di incoscienza, la veglia o vigilanza, invece indica presenza e consapevolezza. Non a caso, da sempre, una delle forme celebrative più sentite è proprio quella del pregare vegliando dove l’assemblea “osa” interrompere il modo consueto di vivere la notte, ovvero il riposo e il sonno, per riconoscere nella lode e nella supplica Colui che sempre viene.
La notte, allora, si fa simbolo eloquente della vita credente nella quale è sempre urgente la rottura con il sonno e il buio del peccato e l’apertura allo Sposo che arriva all’improvviso (cfr. Mt 25,1-13; Lc 12,35). È, dunque, desto colui che si prende a cuore le proprie sorti e le sorti del proprio prossimo e sa che la vigilanza, orante e attiva, è la via maestra per accogliere, con rinnovato stupore, colui che sta alla porta e bussa nell’attesa che gli apriamo per poter cenare con noi (cfr. Ap 3,20).
In questo “mattino” dell’anno, quale è l’Avvento, il credente si apre alla speranza e si inebria della luce di Cristo: «Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta» (Francesco, Lumen fidei 1).
L’Avvento è proprio il tempo in cui svegliarsi dal sonno, il momento in cui recepire l’annuncio vivo della Parola che chiama alla conversione e a indossare le armi della luce e a rivestirsi di Cristo (cfr. Rm 13,11-14). L’apostolo utilizza un linguaggio altamente evocativo e simbolico (sonno, risveglio, notte, giorno, tenebre, luce, veste) come la liturgia. Simboli, non mere decorazioni poetiche, e pertanto realtà da assumere totalmente in quanto rimandano a Cristo, il Salvatore, Colui che davvero fa passare l’uomo dalla tenebra alla luce. Se l’Avvento sarà vissuto con questa ricchezza di significanti e di significati, allora esso renderà le comunità veramente esperte nell’attesa, abili nell’invocazione e consapevoli nell’incontro con il Signore.
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kriskris
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Il Tempo di Natale - Introduzione
Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci!
Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita,
una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità:
la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore,
vincitore del peccato e della morte,
non avendo trovato nessuno libero dalla colpa,
è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio;
gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono;
riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
(Dal Discorso I di san Leone Magno per il Natale,
cfr. Natale del Signore, Ufficio delle letture)
L’hodie liturgico, oltre a pervadere i testi di questa solennità, attesta la perenne novità e attualità del mistero dell’incarnazione. Colui che si fece uomo nella pienezza dei tempi colma anche “questo” tempo della sua presenza. Colui che è nato ieri nasce anche oggi in virtù della celebrazione liturgica. Il suo dono di amore è vivo e operante nel frammento della storia abitato dall’azione celebrativa e così nella storia fragile dell’uomo, grazie alla liturgia, «Cristo è sempre presente nella sua Chiesa» (SC 7). I testi biblici ed eucologici e le meditazioni dei Padri non cessano di ricordare il contrasto tra luce e tenebre, tra vita e morte, tra frammento e totalità che avviene nel Natale di Cristo e, quindi, oggi. E così la tristezza non può regnare quando nasce la Vita e tutti, a partire dai peccatori, sono chiamati a riacquistare coraggio perché la chiamata alla vita è per ogni uomo. Il testo di san Leone Magno, che risuona nell’Ufficio delle letture, di questo giorno santo, è pervaso da un grande dinamismo: l’invito alla gioia e alla consapevolezza di una nuova speranza per tutti, la corsa del santo verso la palma della vittoria, il gaudio del peccatore perché ottiene finalmente il perdono, la consolazione del pagano che approda alla luce e alla vita dopo le opere di morte.
La celebrazione del Natale è autentica celebrazione della vittoria di Cristo, Sole invincibile, sulle tenebre del peccato, dell’egoismo, della malignità. Ormai il giorno è vicino, anzi è già presente: il cristiano indossa le armi della luce e, nell’incontro con il Dio fatto uomo, abbandona ogni arma di morte (cfr. Rm 13,12). La breccia che la liturgia provoca nel tempo - l’hodie, appunto, delle antifone e delle orazioni - non è finzione e neppure artificio consolatorio in una storia segnata da guerre e divisioni, ma l’esperienza singolare grazie alla quale Dio incontra ancora il suo popolo nella memoria grata e stupita dell’evento accaduto a Betlemme.
Per questo la celebrazione liturgica spinge alla conversione. Chi ha fatto esperienza del mistero abbandona gli atteggiamenti delle tenebre e si comporta «come in pieno giorno» (Rm 13,13). Cristo è il giorno pieno e luminoso, il sole che illumina il popolo che cammina nelle tenebre e ammanta con il suo chiarore coloro che procedono in una terra buia (cfr. Is 9,1).
Liberare il canto della fede significa riconoscere con rinnovata meraviglia che «è apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). Le assemblee che si formano nel primo mattino del giorno di Natale, per bocca di chi le presiede, riconoscono la luce che le pervade e domandano quel rinnovamento della vita che scaturisce dall’incontro con il Verbo: «Signore, Dio onnipotente, che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto uomo, fa’ che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito» (colletta della messa dell’aurora).
Così l’esperienza spirituale, compiutasi grazie alla celebrazione liturgica, diventa gesto e decisione nella vita concreta e davvero l’uomo può condividere la vita divina del Figlio che per lui ha voluto assumere la natura umana (Natale del Signore, colletta della messa del giorno).
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kriskris
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domandina del due dicembre:
il santo del 30 novembre ha finito i suoi giorni su una croce,
come si chiama questa croce?
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kriskris
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Last Edit: 11 years 4 months ago by kriskris.
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Come si festeggia il Natale nel mondo
Il mondo festeggia la stessa festa ma ognuno lo fa in modo completamente diverso. Anche all’interno di uno stesso paese ci sono numerose differenze che derivano dalla tradizione regionale. Così se a nord non si rinuncia a panettone e pandoro, a sud trionfano strufoli, dolcetti alle mandorle e pastiere.
In ogni parte d’Italia si osserva una vigilia “di magra”, all’insegna del pesce, e un pranzo ricco di proteine tra tortellini in brodo e agnello con patate.
Da Napoli arriva il capitone, che secondo alcune leggende qualche tempo fa si lasciava nella vasca da bagno a nuotare libero e felice fino al momento fatale,
per conservarlo freschissimo. L’unica cosa che rimane invariata è il modo in cui passare queste giornate: con la compagnia di parenti e amici.
Veramente interessanti sono le credenze superstiziose della Repubblica Ceca: qui a seconda di dove ti posizioni a tavola, di cosa mangi e chi incontri,
può accadere qualcosa.
Alla vigilia i cechi mangiano la carpa
Durante la vigilia di Natale, non si accendono le luci fino allo spuntare della prima stella in cielo. Dopo le case vengono illuminate elettronicamente e
si può iniziare a mangiare (credenza diffusa anche in Polonia). A tavola gli invitati devono essere necessariamente di numero pari, nessuno deve essere rivolto verso il muro.
Le portate devono essere 9 e non si beve alcolici. Alcuni mettono una corona d’aglio sotto il tavolo perché porti protezione e forza.
Si crede che le pietanze debbano avere particolari ingredienti: ad esempio non deve mancare il miele che aiuta a proteggere dal male, mentre i funghi donano salute. E se siete delle donne incinte attenzione al primo visitatore che entra in casa: se è uomo avrete un figlio, se donna una figlia.
In Irlanda il giorno prima della vigilia si pulisce interamente la casa. In passato le donne si occupavano di porte, finestre, tende e specchi, mentre gli uomini imbiancavano le pareti. Oggi l’usanza si è ormai persa. La candela accesa fuori dalla finestra ha un significato religioso e simboleggia ospitalità nei confronti di Giuseppe e Maria: viene accesa dal membro più giovane della famiglia e deve essere spenta da una ragazza di nome Maria. In alcune zone dell’Irlanda a portare doni è Father Christmas.
In Austria, Ungheria, Germania, Belgio e Olanda la festa più importante rimane ancorata alla tradizione nordica di San Nicola: è proprio lui a portare i doni il 6 dicembre. Tuttavia si festeggia anche la vigilia di Natale.
Il dolce natalizio tedesco, lo Stollen. In Austria molte case mettono una corona decorata con quattro candele che vengono accese una dopo l’altra le quattro domeniche prima di Natale, mentre l’albero è addobbato di stelle di paglia e candele. In Germania la sera del 24 si mangia l’oca arrosto o la carpa blu. L’Olanda è un pullulare di addobbi e decorazioni che iniziano dal 6 dicembre. Tradizione vuole che tra i dolci tipici ci siano le ciambelline di Natale e lo stollen, un dolce con uvetta che viene appeso all’albero e che all’occorenza viene mangiato. In Ungheria l’albero si addobba principalmente di dolci e cioccolatini, rigorosamente impacchettati: qui ad arrivare non è Babbo Natale ma il Bambin Gesù.
In Svezia l’albero si prepara il giorno prima e si decora semplicemente con paglia, fiori rossi e dolcetti speziati. La sera della vigilia si mangiano minestra di riso, polpettine e salsiccia.
Diffusa in tutto il nord Europa è l’usanza di dar da mangiare agli uccellini e di prendersi cura di loro. In Finlandia infatti, oltre al tradizionale abete,
si prepara all’esterno delle abitazioni, un “albero per gli uccellini”.
I bambini inglesi lasciano un bicchiere di latte caldo e mince pies sotto l’abete per Babbo Natale, e una carota per la sua renna Rudolph.
A pranzo non deve mancare il famoso tacchino ripieno, accompagnato da una splendida salsa di mirtilli rossi. Alle 3 del pomeriggio tutti in salotto ad ascoltare il discorso in tv della Regina.
Alloro, luci e alberi luccicanti per il Canada. Alcuni bambini vanno di casa in casa a cantare le classiche canzoni natalizie (proprio come nei film).
Come compenso gli ascoltatori preparano monete, dolci e gustose bevande calde.
In Spagna i regali si scambiano il 6 gennaio, quando arrivano i Re Magi. Diffuse in tutte le città più importanti le parate con favolosi carri: i Re Magi sfilano in corteo regalando caramelle a tutti i bambini.
Famosissime las posadas messicane. L’usanza, risalente alla metà del XVI secolo ripropone l’episodio dell’arrivo a Betlemme di Giuseppe e Maria e della loro ricerca di un luogo dove alloggiare.
In Messico Giuseppe e Maria sono interpretati da bambini
“Dar posada” vuol dire ospitare un viandante e, nella tradizione natalizia, la posada è l’abitazione stessa che accoglie i protagonisti della natività.
In quest’occasione un corteo segue Giuseppe e Maria, che vanno a chiedere posada in una casa: prima di arrivare alla casa dove verranno accolti,
si fermano a chiedere il permesso per alloggiare presso altre abitazioni, finché, dinanzi alla porta della casa prescelta, al gruppo nella strada che domanda «posada» con un canto, risponde dall’interno dell’abitazione un secondo coro. Giuseppe e Maria vengono accolti e dopo aver pregato tutti insieme, la famiglia ospitante offre dolci e bevande. Si termina con il gioco della pinata, una pentola di terracotta (pignatta)
piena di frutta secca, dolci e canditi, appesa ad una corda che un bambino bendato dovrà rompere colpendola con un bastone.
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domandina del tre dicembre:
Quanti sono i Re Magi?
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nyy
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Diverse sono le leggende sorte nel tempo per spiegare l’origine di questa tradizione: una fa risalire la consuetudine di addobbare un albero sempreverde in occasione delle festività natalizie a San Bonifacio, nato in Inghilterra nel 680, a cui si deve l’evangelizzazione delle popolazioni germaniche. Si narra che il santo introdusse l’usanza dell’albero di Natale per contrastare il culto del dio Thor, presso la cui “Sacra Quercia” si svolgevano sacrifici umani. Questa leggenda suggerisce di ricercare l’origine dell’albero di Natale in antichi culti pagani, recepiti dal cristianesimo in virtù di un processo di assimilazione. Tale ipotesi è smentita però dal fatto che le prime testimonianze storiche sull’albero di Natale risalgono al XVI secolo e che, d’altro canto, non vi è prova della derivazione di quest’usanza natalizia dagli antichi culti germanici. La testimonianza più antica è registrata da una targa scritta in otto lingue, presente nella piazza della città di Riga, capitale della Lettonia, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510. Una cronaca di Brema del 1570 racconta di un albero decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. L’usanza di avere un albero decorato durante il periodo natalizio si diffuse poi nel corso del XVII-XVIII secolo in tutte le principali città della Renania. Dunque, quella dell’albero è una usanza propriamente cristiana, anche se nata nel contesto della Riforma protestante (una leggenda vede addirittura in Martin Lutero, il padre della Riforma, l’iniziatore di questa nuova tradizione), per poi diffondersi, all’inizio del XIX secolo, anche nei Paesi cattolici.
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